Accadde oggi - 23 ottobre - 4 novembre 1942 

el Alamein

23 ottobre - 4 novembre 1942

el Alamein

Ci sono tre battaglie di el Alamein, un fronte di una sessantina di chilometri tra il piccolo porto di el Alamein e la depressione intransitabile di Qattara, che ne faceva l'unica posizione non aggirabile di tutta la costa desertica libico-egiziana.

La prima fu la battaglia condotta in luglio dalle forze britanniche del generale Auchinleck per arrestare l'avanzata italo-tedesca, una serie di combattimenti frammentati con truppe che da entrambe le parti arrivavano per piccoli lotti, conclusa con il successo inglese. Il fronte resistette.

La seconda fu l'offensiva detta di Alam el Halfa, condotta da Rommel tra il 30 agosto e il 5 settembre, un netto insuccesso.

La terza è la più famosa e decisiva, dalla sera del 23 ottobre al 4 novembre, la grande vittoria inglese.

In mezzo si ha il grosso aumento delle forze britanniche e la decisione di Rommel di accettare una battaglia difensiva su posizioni semi-fortificate, buche nella sabbia organizzate a caposaldo e protette da estesi campi minati.

La battaglia di el Alamein è una pagina di storia certo sfortunata per le nostre armi, ma sicuramente gloriosa; bisogna onorare il grande merito conquistato dai nostri soldati, marinai ed aviatori che combatterono quelle battaglie.


E ciò nell’intento di dare qualche valido motivo per sentirsi giustamente orgogliosi dell’operato dei nostri Padri.

L’importante evento storico della battaglia di el Alamein, giro di boa, unitamente a quella di Stalingrado, delle fortune militari dell’Asse Roma-Berlino nell’anno 1942, va di pari passo con la vita di un Uomo, tra coloro che vi presero parte, che fece proprio il significato militare ed umano di quell’evento, che dedicò 12 anni della propria vita alla ricerca delle spoglie dei Caduti di ogni Patria, insepolte e disperse tra le sabbie del deserto egiziano, e che concluse l’opera sua ideando e costruendo il Sacrario Militare Italiano di el Alamein, che tramanda oggi il retaggio di quella battaglia. 


Alcuni stralci dal libro “Alamein 1933-1962” di Paolo Caccia Dominioni

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Capitolo XVI

“BATTAGLIA GRANDE A NORD”

Fronte di Alamein, ottobre 1942

Da alcune settimane il capitano Giacomo Guiglia, capo del servizio intercettazioni, s’era accordato con l’amico Sillavengo per un incontro di calcio tra le squadre dei propri reparti, e l’incontro è avvenuto il 13, presso il caposaldo Gabriele Quinto, a soli otto chilometri dalla prima linea, trasformato per l'occasione in arena sportiva. Una folla di spettatori è accorsa a vedersi l’inatteso spettacolo, con la facile fiducia che in guerra si crea quando i soldati hanno deciso che la giornata è definitivamente calma.

Ma Guiglia e Sillavengo erano inquieti, e impazienti che la partita finisse presto: che lo spiazzo centrale del caposaldo si vuotasse prima che un paio di Hurricane lo trasformassero in carnaio. Più di mille uomini concentrati sulla sabbia costituivano un bersaglio visibile, dall’alto, anche a venti chilometri, ma la RAF non si era fatta vedere.

I guastatori del 31°, che giocavano « in casa », avevano vinto per cinque a uno.

I due amici non s'erano lasciati senza accennare a una prossima « grande partita » di natura ben diversa: e Guiglia aveva riparlato di questa assenza della RAF, mostrando il cielo insolitamente vuoto e dicendo: «Gran brutto segno».

Quota 100 di Qaret el Abd, mezzanotte sul 24 ottobre 1942

E davvero la giornata è stata più tranquilla del solito: ha dato a tutti un senso riposante di pigrizia, una specie di pausa festiva necessaria ad ogni onesta guerra di posizione. … Ma alle 20 e 45, senza alcuna salva d'aggiustamento preliminare, tutta la linea nemica s'è accesa di guizzi fiammeggianti che in breve hanno formato una sola barriera incandescente.

Anche sopra le nostre posizioni brillano a migliaia le vampate rosse delle granate in arrivo, prima nitide, poi confuse nel fumo e nel polverone. Il cielo limpido e stellatissimo si è riempito di tuoni e di accecanti bengala: sui capisaldi di resistenza e di granguardia, sui nodi di pista, sui concentramenti di tende e baracche, anche chilometri all'indietro, è un solo fruscio sibilante di bombe che cadono e scoppiano con lo schianto lacerante ormai divenuto universale e noto anche ai più innocui suburbi al di qua del Pacifico e dell’Atlantico.

Fronte della Trento, alba del 24 ottobre 1942

La catena delle autoambulanze e degli autocarri carichi di carne straziata, in arrivo dalle linee è ormai ininterrotta, mentre il fuoco d'artiglieria si è fatto discontinuo. Invece l'offesa aerea è intensificata con le prime luci del giorno.

Dal diario di Torelli

24 ottobre 1942

« Alle 3 è stata la nostra volta. Quando il sole si è levato, cessato il bombardamento, la brezza spazza la pesante atmosfera di fumo e di polvere. Col binocolo noto tre pezzi da 88 a poca distanza: le fanterie nemiche sono a poche centinaia di metri. Per tutta la mattina spariamo con le armi automatiche facendo la caccia all'uomo, ma quando cominciano l'aggiustamento con i mortai non respiriamo più. Nella spianata a nord ci sono circa cento carri, e ne incendiamo quattro con i nostri mortai. A sera prendiamo collegamento tra noi per scambiarci opinioni e informazioni: faccio il solito rapporto al capitano, e gli dico alcune vecchie spiritosaggini, ma è evidente che siamo entrambi preoccupati. » 

Capitolo XVII

“BATTAGLIA GRANDE A SUD”

La cronaca di Alamein, a questo punto, si fa oscillante e sproporzionata, specialmente ricordando il suo livello spesso pettegolo e modesto degli anni e dei mesi precedenti.

Il materiale da racconto si è fatto troppo ricco ed esposto a dimenticanze. Quanti episodi di grandezza sono ignorati dalla cronaca, anche se limitata alla sequenza dei posti di vigilanza avanzata, dei quali taluni sono stati annientati senza pregiudizio della retrostante linea difensiva?

Invece, sono già saliti a un prestigio fulgente, per la giusta superbia dei paracadutisti superstiti, altri eventi chiarissimi.

Il sergente maggiore Dario Pirlone, genovese, prima di morire ha gridato al nemico irrompente una frase immensa: «Non siete riusciti a prendermi vivo». La terza ferita gli aveva maciullato le gambe: attorno a lui, uccisi o feriti, giacevano i serventi del suo cannoncino distrutto e l'equipaggio inglese di un carro che aveva cercato di schiacciare il piccolo presidio della buca, ed era invece stato catturato. Poi quei morenti si sono difesi a pugnalate, finché nuove onde assaltanti hanno sommerso la buca ormai silenziosa.

Il milanese Marco Gola, tenente del 186°, già decorato di medaglia d'argento in Albania dove aveva combattuto come artigliere da montagna, era all'ospedale sofferente delle solite malattie del deserto, ma non poteva sopportare il privilegio di quelle confortanti lenzuola nell'imminenza della battaglia grossa. È fuggito, ha ritrovato i suoi mortai e i suoi paracadutisti, già investiti dai carri armati. Questi sono così fitti che l'artiglieria non basta più a fermarli, e Gola interviene con i suoi mortai, fatto segno a un vero martellamento dalle batterie e dai carri stessi. Le tre ferite successive non lo smuovono dal suo posto, l'ultima, quella mortale, lo segna mentre sta compiendo, alla baionetta contro il nemico ormai troppo vicino per il fuoco dei mortai, il gesto supremo.

Mario Zanninovich può essere fiero dei suoi paracadutisti, formati ed educati con passione, II battaglione del 187°.

Il sacrificio della Folgore è stato alto.

L'unico reparto, su questo fronte meridionale, che possa sentirsi di casa tanto nell'ambiente africano quanto nei capisaldi folgorini, è il 31° guastatori, che ebbe per culla Civitavecchia quando i paracadutisti nascevano nella vicina Tarquinia. L'amicizia era stata immediata, anche per la rischiosa affinità dell'addestramento. Ma il 31 ° è un veterano d'Africa, ed è al suo secondo anno di battaglie desertiche.

Il 23 scorso, poche ore prima che divampasse la battaglia, il maggiore Sillavengo aveva schierato il battaglione per comunicare la concessione della seconda medaglia d'argento al sergente Lucati, della medaglia d'argento al caporale Abrami, e soprattutto la proposta del Comando Superiore, perché il labaro del 31° fosse pure decorato di medaglia d'argento, rarissima distinzione per così piccolo reparto.

Poi il 31° è entrato, come s'è visto, nella fornace: seminando mine e combattendo.

Tra i molti suoi componenti degni di nota giova citarne almeno tre. Il veterano del 32°, sottotenente Rota Rossi, che tanto aveva brigato per tornare al 31° dopo la distruzione del suo battaglione, ha voluto per sé solo, non senza aver allontanato i guastatori, un compito rischiosissimo tra le mine, nella terra di nessuno, e vi ha incontrato la morte. Il furiere di battaglione, sergente maggiore Biagioli, ha sfidato a duello uno Spitfire che mitragliava il battaglione a volo radente, ed è stato ucciso mentre faceva fuoco con un suo piccolo mitragliatore jugoslavo, ricordo dell'anno precedente tra i monti di Croazia: stava superbamente ritto e scoperto, con la sigaretta piantata nella connessura tra le labbra. E il caporalmaggiore Tuvo, quello che bestemmiava la sera del 30 agosto perché il lanciafiamme non gli funzionava a dovere, è stato ferito gravemente alla gola e al ventre: tuttavia, con la scheggia ancora conficcata nel fegato, si è caricato in spalla un compagno con le gambe stroncate, e così, per oltre due chilometri, ha camminato nella sabbia cedevole. 

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EROI

Si sente dire spesso che il valore italiano non è stato riconosciuto.

Non è così.


La mattina del 25 ottobre, appena tornato ad el Alamein, al Col. Westphal, suo Capo di Stato Maggiore, che lo ragguagliava sulla situazione, Rommel, tra l'altro, chiese: “...e gli Italiani, cosa fanno gli Italiani?”.

La risposta fu: “Signor Generale Feldmaresciallo, gli Italiani si battono oltre il limite dell'inverosimile”.

Nel suo comunicato del 2 novembre, radio Londra dichiarava: “Rommel dispone di truppe bene addestrate e decise, pronte, se necessario, a morire”.

Il Comandante della “FOLGORE”, Gen. Frattini, dopo la cattura viene accompagnato nelle retrovie inglesi ed un interprete gli chiede: “Lei è il comandante della "FOLGORE"? Un Generale inglese desidera salutarla”. Si presenta il Gen. Hugues, comandante della 44^ Divisione britannica, quella che aveva attaccato senza successo le posizioni della "FOLGORE". Ambedue salutano militarmente e l'Inglese accenna a stendere la mano.

Frattini resta immobile e la mano inglese si ritrae.
"Si era sparsa la voce che il Comandante della "FOLGORE" fosse caduto", dice Hugues. "Ho saputo che non è vero, e voglio dirle che sono contento". Frattini: "grazie".
"Volevo dire anche che nella mia lunga vita militare mai! avevo incontrato soldati come quelli della "FOLGORE".
Frattini: "Grazie".
Ambedue salutano e si separano.

Il pensiero del Generale Rommel in merito al valore del nostro soldato è già stato ricordato. Nelle sue memorie ha aggiunto: "...avevamo chiesto troppo ai nostri camerati italiani. Con il loro armamento debole e scadente non avrebbero potuto fare di più, né si capisce come abbiano potuto farlo".

Anche da parte britannica i riconoscimenti del valore italiano non mancarono.

Si citeranno solo due tra i tanti:


- l'8 novembre la BBC affermava: "gli Italiani si sono battuti molto bene ed in modo particolare la Divisione "FOLGORE", che ha resistito al di là di ogni possibile speranza".

- in un discorso, alla Camera dei Comuni, il Primo Ministro, Churchill affermava:

“Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della "FOLGORE"”.

 Combatterono ad "el Alamein" tra il 23 ottobre ed il 4 novembre 1942:

Che l'eco lontana di questa rievocazione giunga laggiù, sul deserto e sulla pietraia ove riposano le spoglie dei 5.920 soldati italiani, caduti in terra egiziana nel compimento del dovere ed in nome dell’onore militare.


Guastatori in africa. La battaglia di el Alamein e la caccia ai carri nemici.